Antibiotico resistenza: ciò che non uccide li fortifica

960 720 Carlo Dr. Taiariol

Quando la penicillina fu introdotta a partire dagli anni 40 del novecento, rivoluzionò completamente la medicina. Prima gli ospedali erano pieni di pazienti con infezioni gravi a seguito di lievi ferite, successivamente, persone affette da malattie come polmonite e gonorrea, intrattabili con i vecchi farmaci, venivano curate senza difficoltà. Negli ultimi decenni, tuttavia, alcuni batteri hanno sviluppato resistenza a questi farmaci “miracolosi”. Ad oggi il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) stima che sono almeno 23000 gli americani che muoiono ogni anno per infezioni dovute a batteri antibiotico resistenti. L’unico modo per contrastare questo fenomeno sarebbe lo sviluppo di nuove molecole, ma quasi tutte le compagnie farmaceutiche hanno smesso di provarci.

Un brillante futuro…

Dopo che la penicillina si dimostrò un efficace salvavita, le compagnie farmaceutiche concentrarono i loro sforzi per scoprire nuovi farmaci antibiotici. Dalla scoperta di Alexander Fleaming del 1928 fino agli anni 70 sono stati sviluppati 270 tipi diversi di antibiotici e fino al 1990 le 18 maggiori aziende erano impegnate nella ricerca e sviluppo di nuove molecole antibatteriche. Un futuro che faceva ben sperare, tuttavia nel corso degli anni la situazione è drasticamente mutata.
Ad oggi, solo 5 delle 50 migliori compagnie stanno sviluppando nuovi antibiotici, decisamente deludente se si pensa che secondo un’analisi del 2002, pubblicata da Clinical Infectious Diseases, sulle 506 molecole attive in sviluppo solo 5 appartengono alla classe antibatterica, e degli 89 farmaci che hanno raggiunto il mercato nessuno di essi appartiene a questa classe. Il vero problema è che non esiste un antibiotico nuovo dal 1984, problema più grande di quel che sembra poiché un batterio resistente ad uno specifico farmaco lo è anche per altri appartenenti alla stessa classe.

Perché le compagnie non si impegnano in nuove ricerche?

La risposta è semplice: i soldi. La scoperta di un nuovo antibiotico inizia con una ricerca basilare di organismi capaci di creare composti antibatterici, un processo che può includere lo screening di migliaia di campioni diversi. Una volta che i ricercatori individuano un possibile candidato, lo testano su diversi batteri e, se i risultati sono positivi, si procede con la produzione su larga scala. Dopo tutto ciò, esiste sempre la possibilità che ciò che si scopre non sia effettivamente un antibiotico. Ciò comporta il ritorno al punto di partenza. Escludendo questa eventualità quindi, se tutto dovesse procedere senza intoppi, la strada è ancora lunga: test clinici, approvazione da parte degli organi preposti, e infine l’immissione in commercio.
Di conseguenza, possono trascorrere più di 20 anni prima che un’azienda veda un profitto economico dopo la scoperta di un antibiotico, profitto solitamente scarso e di breve durata.

Cosa possiamo fare?

Il problema dell’antibiotico resistenza è serio e si sviluppa su scala globale. In attesa che anche i colossi farmaceutici si muovano nella risoluzione del problema, il CDC raccomanda che anche il paziente debba avere un ruolo attivo nella propria salute. Semplici accortezze da tener presente: accertarsi che il proprio dottore esegua gli esami necessari a garantire l’utilizzo dell’antibiotico corretto e non assumere antibiotici se non strettamente necessario, sempre su prescrizione. Se infine dovesse essere necessaria l’assunzione accertarsi di seguire la posologia e finire l’intera cura. Batteri sempre più forti e sempre meno armi per combatterli. Per contrastare questo problema, bisogna innanzitutto comprenderlo e capire le gravi conseguenze che avrà sul nostro futuro. L’uso degli antibiotici dovrà essere controllato sia dal personale sanitario che dal paziente, che con delle semplici accortezze può migliorare la propria salute e quella degli altri.

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