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Che differenza c’è?

478 319 Carlo Dr. Taiariol

ASPIRINA, ASPIRINETTA e CARDIOASPIRINA

In farmacia capita spesso di dover rispondere a domande solo apparentemente semplici e banali. Un esempio classico è: “ma che differenza c’è tra…?”

Rispondiamo qui proprio a questa domanda, focalizzandoci su tre specialità farmaceutiche: Aspirina, Cardioaspirina e Aspirinetta. Tre farmaci ed un solo principio attivo: l’Acido Acetil-Salicilico. Uno dei farmaci più antichi e conosciuti, vero capostipite della classe degli antinfiammatori non steroidei (FANS), con molteplici proprietà terapeutiche, la principale legata all’azione antinfiammatoria, dovuta all’inibizione della ciclossigenasi di tipo 2 (COX-2) responsabile della cascata infiammatoria. Altra proprietà terapeutica non trascurabile, correlata ad un effetto indesiderato della molecola stessa, è l’azione anti-aggregante (da non confondere con un’azione anti-coagulante). La differenza tra le tre specialità non va quindi ricercata nel principio attivo ma nel dosaggio:

  • L’Aspirina ha un dosaggio che arriva fino a 500 mg, superiore rispetto alle altre specialità; viene utilizzata e prescritta esclusivamente per la sua azione antinfiammatoria.
  • L’Aspirinetta è presente sul mercato ad un dosaggio pari a 100 mg. Ha attività prevalentemente anti-aggregante e fluidifica il sangue opponendosi alla formazione di trombi e coaguli in generale. Viene quindi utilizzata per prevenire il rischio di ictus o altre problematiche cardiovascolari.
  • La Cardioaspirina si differenzia dall’Aspirinetta non per il dosaggio, sempre 100 mg di principio attivo, ma dalla formulazione costituita da un rivestimento gastro-resistente. La compressa non si dissolve a livello gastrico bensì a livello intestinale e questo permette di ridurre l’attività gastrolesiva di questa classe farmaceutica.

Come comportarsi?

In caso di assunzione cronica o prolungata di queste specialità, bisogna porre attenzione soprattutto alla loro attività lesiva ai danni della mucosa gastrica. Proprio per questo è consigliato assumere tali farmaci in corrispondenza dei pasti e in caso non dovesse bastare, in accordo con il proprio medico si può combinare alla cura dei protettori gastrici (ad esempio i PPI, inibitori della pompa protonica). In contrapposizione a questo, recenti teorie suggeriscono l’assunzione di cardioaspirina la sera prima di coricarsi, poiché la maggior probabilità di insorgenza di eventi cardiovascolari è riscontrabile soprattuto al mattino (studio dell’American Hearth Association). Quando si assumono farmaci anti-aggreganti e anti-coagulanti bisogna prestare attenzione a ferite ed emorragie.

Come agisce l’aspirinetta?

L’Acido Acetilsalicilico già a bassi dosaggi è in grado di andare ad inibire la formazione di Trombossano A2 (TXA2), tramite un’azione specifica inibente dell’enzima ciclossigenasi. Il trombossano favorisce fisiologicamente l’aggregazione delle piastrine per modifica della loro struttura e forma. Venendo meno questa molecola, inibendo l’enzima che la produce, le piastrine non si aggregano più e quindi il sangue si fluidifica: l’acido acetilsalicilico determina una riduzione del 97-99% della sintesi piastrinica di TXA2 nei soggetti sani. Il trattamento prevede un dosaggio di 325 mg/die (approvato dalla FDA) per la profilassi primaria dell’infarto miocardico.

Il monitoraggio di questi farmaci viene effettuato ogni giorno da tutti i medici e farmacisti presenti sul territorio.

Effetto placebo e nocebo: il potere della mente.

630 354 Carlo Dr. Taiariol

Tutti o quasi tutti conoscono l’effetto placebo. Quando si prende una medicina priva di principio attivo, una medicina “finta”, un placebo, tuttavia ritenuta vera dal paziente, a volte quest’ultimo si sente meglio davvero. Questo è l’effetto placebo, spiegato in poche e semplici parole. Ma se il paziente dovesse sentirsi peggio? Questo è il caso dell’effetto nocebo. Meno conosciuto, si presenta come il manifestarsi degli effetti indesiderati del farmaco assunto, nonostante non possa essere la pastiglia stessa a causarli.

Da tempo si cerca di capire come funzionino da un punto di vista fisiologico l’effetto placebo e il suo opposto, il nocebo. Delle tante ricerche centrate sull’argomento fa parte un curioso esperimento le cui conclusioni sono appena state riportate su Science. I ricercatori si sono trovati di fronte ad una quanto mai singolare tesi. Si è osservato infatti che tanto più il placebo, ritenuto dal paziente un farmaco attivo, è costoso quanto più è probabile che insorgano effetti avversi, nocebo.

Lo studio è stato condotto su di una presunta crema, formulata per contrastare in modo efficace la dermatite atopica. Farmaco molto efficace (in realtà una semplice crema base) che tra gli effetti indesiderati annoverava un aumento della sensibilità al dolore.
Divisi i pazienti in due gruppi, ad uno si è fatto credere che il farmaco costasse molto, mentre all’altro che fosse molto economico. Il risultato ottenuto sicuramente risulta oltremodo strano. I ricercatori, dopo aver sottoposto i pazienti ad un tipico test sulla resistenza al dolore, hanno notato che chi ha utilizzato la crema “costosa” ha sviluppato anticipatamente dolore rispetto agli altri trattati con la versione “economica”. Questa differenza si spiega con la convinzione comune che un farmaco costoso in quanto tale abbia un azione più potente rispetto al farmaco economico.

Si è verificata quella che al senso comune appare una stranezza: i partecipanti che avevano usato la “crema costosa” hanno riportato di sentire dolore assai prima di chi aveva adoperato la lozione “economica”.

Come si spiega l’effetto nocebo dunque? Sambra coinvolta l’attivazione specifica di alcune aree, in particolare nella corteccia prefrontale. Questo circuito orchestrerebbe l’effetto nocebo e così il placebo. Portare il nostro sistema nervoso centrale ad aspettare un effetto, positivo o negativo che sia, porta così il nostro organismo a provarlo effettivamente. Uno studio che dimostra come la mente possa gestire il fisico.

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